domenica 20 settembre 2009

Induismo

Ho passato un bel fine settimana immerso nelle vibrazioni della natura. Tra le colline umbre, Nel silenzio interiore che solo la montagna sa infondere. Ho passato il fine settimana ad Ananda. Ritiro spirituale necessario, non solo per eliminare lo stress della vita cittadina, ma soprattutto per sintonizzarsi con la Coscienza Superiore.

Ananda è luogo benedetto dall’energia dei Maestri. Esposta ai venti che raccolgono le pure vibrazioni d’amore che si percepiscono - per lasciarle laddove più ce n’è bisogno - Ananda è affacciata su quei deliziosi ed ispiranti tramonti che solo qui si dipingono di un vivo rosso fuoco. Il fuoco della devozione ai Maestri, al Divino. Il fuoco in cui desideriamo lasciar ardere i nostri desideri terreni, i nostri limiti, il nostro ego. Più semplicemente il fuoco che non ci stanchiamo di ammirare, spesso avvolti in pesanti pullover. L’aria di Ananda trasuda amore e semplicità e la si legge negli occhi di chi ci vive o di quelli che anche solo da qualche giorno ne sono ospiti. Ad Ananda è stata ospite una donna innamorata di Dio, Vanamali Devi, devota indù che vive nel suo ashram sulle rive del Gange, a Rishikesh.

Ad Ananda, Vanamali Devi,



ha dato spiegazioni semplici ma essenziali sulla saggezza dei Rishi, gli scienziati spirituali, e sulle fondamenta delle credenze dell’Induismo. Contrariamente all'opinione che se ne ha, l’Induismo non è una religione che possa essere classificata tra le politeiste o tra le monoteiste. In realtà, l’Induismo può essere considerata una religione “personale” o, per dirla con un bel termine che ci hanno tramandato i Greci, potrebbe essere considerata una religione enoteista, una forma di culto in cui si venera una propria divinità, senza rinnegare tutte le altre.

Per gli indù, Dio, l’Assoluto, è qualcosa di talmente inconcepibile, di talmente trascendentale che scelgono, per facilitarne la comprensione, di identificarne le qualità con delle forme umane. Naturalmente le qualità divine sono infinite e tali da rendere impossibile associarle ad una sola forma. Così, numerose diventano pure le forme in cui l’indù vede tali qualità. Da qui la concezione che abbiamo fatto nostra di un Pantheon Indù.

Non importa se tali forme siano esistite davvero, come è il caso di Krishna, o meno, se siano uomini o animali. L’indù non bada a questi dettagli perché sa bene che Dio è senza forma, che è in tutto e con qualunque forma. Sa, altrettanto bene, che l’origine di tutto risiede nel Brahman, l’Uno, il Tutto, l’origine divina di tutti gli esseri, il substrato di cui tutto è fatto. È così dunque che vediamo erigere nei templi induisti statue che rappresentano uomini con la testa d’elefante o scimmie e cui gli indù offrono la loro puja.

Le diverse divinità adorate dagli induisti sono considerate come diverse forme del Brahman, che l’indù adotta per render più accessibile la comprensione dell'Essere Supremo. L’indù semplicemente sceglie di adorare la divinità, e la relativa qualità, che sente più vicina.



Curioso e interessante è il fatto che nella Puja, la cerimonia d’adorazione indù, che il devoto è quindi libero di dedicare alla “forma che preferisce”, adorandone la statua, la foto, il dipinto in cui la divinità è entrata richiamata dall’amore del devoto stesso (una sorta di meditazione), vengono ripetuti gli oltre mille nomi della divinità scelta e che molti di questi nomi sono gli stessi che hanno anche le altre divinità. Questo per ricordare al devoto che tutte le divinità sono il Brahman, che comunque tutto è uno. Meraviglioso!

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