domenica 30 gennaio 2011

A sud del confine


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 A sud del confine (*) è parte del titolo di un libro. A sud del confine è anche il titolo di una canzone di Nat King Cole. A sud del confine è il posto in cui la incontrai, da bambino. A sud del confine, è il posto in cui mi portò per trascorrere il nostro primo week end lontani da casa e da soli. A sud del confine è anche il posto dove iniziò la fine della nostra storia.

A sud del confine andavo spesso con la mia famiglia quando ero poco più che un infante e poco meno di un adolescente. A sud del confine, immerso nel paesaggio spigoloso e ricco di dislivelli, si erge un piccolo paesino tra le montagne imponenti e le colorate conifere.
Erano colorate dei colori dell’estate le conifere che, di quel posto, mi  erano rimaste nella memoria.
Ci andavo per mio padre che lì, immerso nelle acque termali, unica fonte di sostentamento del  timido agglomerato di casette col tetto spiovente, trovava conforto dai morsi della sua malattia. Ci andammo diverse volte in quegli anni e quel posto arricchì i miei desideri: ero un giovane in erba del sogno d’amore cui l’incontro con una ragazzina poco più grande di me aveva scatenato nuove chimere. Era bella. Era dolce. Leggiadra nei movimenti. Pareva danzasse con quel suo fare così spontaneo. Non le rivolsi mai parola, non ne avevo ancora il coraggio. Ero piccolo e senza alcuna esperienza in fatti di cuore. Per nulla intraprendente. Semplicemente la osservavo camminare nel parco termale in compagnia di quelli che pensai essere i suoi genitori e i suoi fratelli. La osservavo e fantasticavo. Provavo a immaginare la fortuna di incrociare il suo sguardo o di conoscere il suo nome. Alla fortuna di poterle parlare non pensavo ancora. A quel posto, a quel panorama, sono legati alcuni dei più cari ricordi della mia famiglia. A quei tempi mi sentivo ancora amato dalla mia famiglia. A quei tempi, ancora credevo di far parte di un nucleo familiare. Anni sono passati da quei giorni. Strada né ho percorsa in abbondanza. Numerose esperienze mi hanno fatto crescere e diventare l’uomo che sono. Mia mamma è morta pochi anni fa, lasciando in me un nodo irrisolto e la consapevolezza che certi schemi genitori-figli vincolano per sempre. Mio padre convive ancora con quella malattia, altre ne sono sopraggiunte in questi anni, avvantaggiate dall’incedere dell’età e dall’indebolimento delle forze. Si è risposato nel frattempo, imponendosi uno stile di vita che non gli appartiene e negando ai suoi figli, ancora una volta, la possibilità di provare a creare quello che, insieme, non siamo mai riusciti ad essere. Eravamo solo più il surrogato della famiglia felice. Felici solo in apparenza. Felici agli occhi degli altri. Felici, insieme, proprio non lo siamo mai stati.

Da anni oramai vivo lontano dalla casa in cui sono cresciuto. Il destino mi ha portato ad allontanarmi dal posto in cui sono nato: pochi kilometri verso nord mi separano ora dal confine. Sono cresciuto a ovest del sole che sorgeva dal mare. A ovest del sole  è il resto del titolo del libro che ho citato prima. A ovest del sole ho mosso i miei primi passi e tirato i primi calci a un pallone. A ovest del sole passavo le mie giornate estive tra i libri di scuola e la compagnia degli amici. A ovest del sole, in riva al mare, piangevo le lacrime di un bambino prima e di un ragazzino più tardi, insoddisfatto della vita. Desideroso d’affetto e straziato dalla negazione degli abbracci materni in cui trovare conforto. Eppure, in riva al mare, ho ricominciato a lottare. E il mare mi ha insegnato che non c’è dolore senza gioia e non c’è gioia senza dolore. Seduto sui ciottoli della spiaggia a ovest del sole, osservavo le onde e capivo che, così, è anche l’esperienza umana. Se il mare non è calmo e piatto, si alzano le onde. Se la cima di un’onda è la metafora del massimo stato di gioia, il suo ventre ne rappresenta l’opposto, il dolore più straziante. È così anche per la vita umana. Capii che l’obiettivo che desideravo raggiungere era quello di calmare il mare della mia mente e del mio cuore. L’assenza di onde. La calma e la serenità, risultato zero dell’algebrica somma di un infinito numero di creste e ventri di onde, picchi di gioia e di tristezza. 

Zero.  

Gli amici erano diventati parte essenziale della mia vita. Amici importanti e fraterni. Amici come quelli che non siamo più in grado di trovare una volta diventati adulti. Terminata la scuola lasciai “la compagnia” e “il mio posto a ovest del sole”, il mio mare, in cerca di un lavoro, spinto dal desiderio di indipendenza. Sono stato fortunato in questi anni perché ho trovato un lavoro che mi piace e che mi rende possibile vivere una vita serena e sufficientemente agiata. Non ho mai dovuto impormi troppe negazioni se non quelle dettate dal più comune buon senso. Non sono uno che ama eccedere troppo nelle trasgressioni e in genere preferisco la compagnia di un buon libro  a quelle serate trascorse attorno ad un tavolo a bere alcool fino a quando ci si accorge che qualcuno, nel tuo stesso gruppo, non è più in grado di raggiungere casa da solo. Non disdegno certo la compagnia, amo bere del buon vino insieme agli amici ma mi piace far di tali serate l’occasione per delle risate e per un confronto maturo. Amo frequentare teatri e cinema e vivere esperienze sensitivo-culturali quali i reading di buoni libri, per citarne una. Durante una di queste serate ho incontrato lei. Abbiamo iniziato a chiacchierare delle nostre trascorse esperienze e storie e, in breve, abbiamo iniziato ad apprezzare, l’uno dell’altro, la comune maturità e la serenità che traspariva dai nostri sguardi. Siamo usciti insieme qualche volta e, nervosi, siamo arrivati finalmente al bacio che tanto desideravamo. Il calore delle sue labbra e il profumo dei suoi capelli e della sua pelle, mi inebriavano ad ogni incontro e ad ogni abbraccio. La sua dolcezza e la capacità che aveva di farmi parlare di me, delle mie cose più intime e di cui ho sempre serbato segreto persino con i più cari amici, accrescevano il desiderio della sua compagnia. Il mattino in cui, abbracciati nel letto di casa sua, mi chiese “Tu lo sai che ti stai accasando vero?” ha spalancato con delicata violenza ogni porta che il timore di lasciarmi andare completamente e la paura di soffrire di nuovo, avevano chiuso. Da quel giorno, ho iniziato a sentire il mio cuore pervaso dalla gioia di aver trovato finalmente una persona che riusciva a leggermi nell’intimo e a farmi star bene. Persino a farmi finalmente “accettare” la scomparsa di mia madre.

Amavo accarezzarle il viso al risveglio, amavo cucinare per lei e addormentarmi con la testa sulla sua spalla davanti al televisore. Era delicata e spontanea e così dolce persino quando mi prendeva in giro sulle imperfezioni del mio corpo e del mio carattere. Era bella e mi piaceva compiere per lei quei quotidiani e comuni gesti che per nessun’altra ho mai compiuto, ed era bello leggere nel suo sguardo la gioia provata nel veder compiere esattamente il gesto che si aspettava. Amavo, appena entrati in auto, togliermi la giacca e poggiarla sulle sue gambe perché non sentisse freddo. Amavo il suo puntuale gesto di togliere le scarpe in auto e allungare le gambe sulle mie. Mi osservavo allora, dall’esterno come fossi una terza persona, compiere un gesto in risposta al suo: non resistevo mai al desiderio di staccare una mano dal volante per cercare il contatto. Lo stesso gesto si ripeteva ogni volta a tavola, quando eravamo soli a casa. Mi dava piacere persino il nervosismo che, all’inizio, mi si creava quando, in auto, si girava verso di me e mi fissava in silenzio, cosciente del fatto che io non potevo girarmi a guardar lei. Quanto avrei dato per conoscere i suoi pensieri in quei momenti.

Ogni cosa correva perfetta e tutto sembrava un sogno, dolce e inaspettato.

Una sera, decidemmo insieme di andare via per un fine settimana e lei propose di andare in un centro termale in cui andava da tanti anni. Tirò fuori alcune foto che custodiva in un cassetto della sua camera da letto. Nella foto, alte montagne ricoperte di neve facevano da sfondo a un paesaggio che ben conoscevo e che, indelebile, era impresso nella mia memoria a far da cornice a uno di quei pochi momenti di felicità vissuti insieme alla mia famiglia.  La foto era di 3 anni prima quando era andata a sciare, con i suoi amici, in un vicino e famoso circuito. Mi mostrò altre foto. In un’altra era con suo nipote e il suo papà, suo fratello maggiore, tutti e tre stesi sul prato all’inglese del parco termale a godersi la giornata di sole. Tra le tante foto che tirò fuori quella sera, una catturò la mia attenzione. Era piuttosto vecchia, a forma quadrata, come quelle che faceva, tanti anni fa, la macchina fotografica di mio padre. L’immagine ritraeva una ragazzina di undici-dodici anni circa, sola, seduta su di una sedia di un gruppo di quattro - come quelle che si trovano nelle sale d’attesa - tutta intenta a leggere un fumetto. Concentrata tra le strisce del fumetto non aveva fatto caso al bambino che poco più in là, la fissava con lo sguardo perso nel mondo dei sogni. Evidentemente chi aveva scattato la foto doveva aver visto cosa attraeva con tanta forza lo sguardo del bambino e ne aveva colto i pensieri. Osservando la foto con più attenzione, riconobbi nei due protagonisti dell’immagine, la ragazzina che anni prima mi aveva fatto sbirciare oltre le porte di un mondo prima di allora sconosciuto, e me stesso, con lo sguardo catturato da quei delicati lineamenti di un viso altrettanto catturato da un mondo di fantasia. Mi raccontò poi che anche lei, come me, stava vivendo uno dei rari momenti di serenità della sua vita in compagnia della sua famiglia, ma non volle raccontarmi mai la triste storia che l’aveva accompagnata in quegli anni.

Decidemmo di andare a trascorrere lì il nostro week end e furono splendidi momenti quelli trascorsi insieme in un posto che rappresentava per entrambi un caro ricordo. Così  si svolse il nostro fine settimana;  tra passeggiate fatte insieme alla ricerca di particolari scorci di cui ci raccontavamo i vecchi ricordi connessi, tra gli abbracci e le cure termali e le reciproche attenzioni. Passeggiando insieme abbracciati stretti sotto l’ombrello, con la fresca e pura aria di montagna ad accarezzarci il viso, pensai che finalmente ero giunto a realizzare il desiderio che avevo immaginato, bambino. Ero felice accanto alla donna che completava e rendeva più facile ogni mio pensiero.

Non sapevo ancora cosa serbava per noi il destino nei giorni successivi.

Fu dopo pochi giorni dal rientro di quel viaggio che si consumò, rapida, la fine.

Non ci furono segnali nel nostro rapporto che potessero farmi pensare che stavamo andando verso la fine dell’idillio. Semplicemente, e fu una per me una doccia fredda, mi disse dapprima che aveva bisogno di un po’ di tempo da sola - per riflettere - e più tardi, che aveva deciso di interrompere la nostra storia. Ci provai pure, chiedendole spiegazioni, a tentare di capire quali fossero le motivazioni della rottura ma, come spesso accade in queste situazioni, si crearono infelici malintesi; inizialmente spinti dalla voglia di chiarire finimmo con l’inseguire la “ragione ad ogni costo”, rispondere al fuoco col fuoco e dire cose di cui poi avremmo finito col pentirci. È trascorso del tempo da quando la vidi l’ultima volta. Purtroppo ci lasciammo nel peggiore dei modi mentre avremmo potuto provare a trasformare in una pura amicizia l’affetto e la magia che ci avevano fatto vivere giorni d’incanto. Io almeno, lo desideravo. Vorrei sapere cosa fa ora. In che stato d’animo vive. Vorrei sapere se è felice come spero.

Mi ritrovo a pensare a lei ancora oggi, dopo mesi dall’accaduto, e a tentare di farmi un’idea di cosa fosse successo. In meditazione  profonda rivedo spesso i suoi occhi fissi su di me - seduti accanto in macchina - e mi sembra ancora di sentirli impressi nitidamente sulle mie guance. Era più di un semplice sguardo il suo.
Mi chiedo spesso cosa sarebbe successo se non avessimo vissuto insieme quel fine settimana. Se invece di andare alle terme fossimo andati al mare o a visitare uno di quei borghi medioevali che ci piacevano tanto. Cosa sarebbe successo se io fossi riuscito a capire ciò che la angustiava. Se fossi riuscito a infonderle la pace e la gioia che anelavo donarle. È una realtà costruita sui “ma” e sui “forse” ed ha una intensità tale che alle volte fatico a capire dove finisce la realtà e dove il mondo creato dalla mia fantasia. A un certo punto però la catena si spezza riportandomi al mondo reale.
Non so se avrò la forza necessaria a prendermi cura di quel che ho attorno. Non so se avrò la forza per creare ancora qualcosa di cui prendermi cura. Mi sembra di essere tornato al punto di partenza, quando un volto bambino si era impresso nella mia mente, anch’essa bambina, legandola a sé inesorabilmente. Le illusioni e i sogni di un tempo non mi aiuteranno più e da sogni non diverranno più realtà. Non mi rimane che quello stesso vuoto che mi ha accompagnato per anni. Ma finisco ugualmente col dirmi che se per due persone non esiste un presente, allora un futuro diverso non sarebbe potuto esistere: a sud del confine esisteranno pure i forse, ma non a ovest del sole.

(*) A sud del confine, a ovest del sole - Murakami Haruki

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2 commenti:

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  2. In effetti non ho specificato che questo post è più o meno tutto frutto della mia fantasia. In effetti non ho specificato che con questo post ho lasciato libero sfogo al mio piacere di scrivere e inventare storie.... Lo farò in futuro, promesso.
    Beh...ringrazio per l'affetto ricevuto dagli amici che mi hanno scritto preoccupati.....ma tant'è...

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