domenica 30 agosto 2009

La vendetta

Ascoltavo in radio di un tizio che dopo l’omicidio di un ragazzo e dopo aver scontato la sua pena, alleggerita di numerosi anni, è ora, di nuovo, in libertà. Intervistavano la madre della vittima che esponeva pubblicamente le sue lamentele in merito allo sconto di pena di cui il giovane ha usufruito e proponeva la sua opinione riguardo questo trattamento di favore perché, a suo modo di vedere, il ragazzo aveva conoscenze altolocate. Raccontava inoltre di quanto si sentisse migliore dell’omicida perché, nonostante ai tempi del processo avesse iniziato a pensare di potersi fare giustizia da sola, decise infine di seguire la sua dottrina religiosa che le vietava di compiere un tale gesto. È l’esempio estremo di quei piccoli eventi quotidiani che ci accadono così di frequente. Ne propongo uno dagli effetti meno deleteri. Qualcuno, poniamo un nostro amico, ci arreca un danno, ci fa un torto che, per quanto banale esso sia, ci fa sentire ingannati, traditi della fiducia di cui lo accreditavamo. Ci troviamo di fronte alla scelta se dar sfogo al desiderio di vendetta oppure dare ascolto ai nostri precetti morali e così, perdonare. Esempio stupidissimo. Senza volere analizzare o approfondire i casi riportati mi son chiesto quanto, desiderare vendetta ma trattenere questo istinto, ci renda persone migliori di quanti, nelle medesime condizioni, decidono di consumare la propria rivalsa. A parte il non aver materialmente compiuto l’atto, che quantomeno ci eviterà di dover passare dal confessionale; piuttosto che la capacità di controllarci non dovrebbe essere il desiderio di perdono incondizionato, senza che si renda necessaria alcuna espiazione, a renderci la persona migliore che ognuno di noi cerca di essere? Non dovremmo arrivare al punto da non far neppure il pensiero della vendetta ma, invece, perdonare incondizionatamente? Di più, non dovremmo arrivare al punto da non pensare nemmeno che sia necessario perdonare? Diamo davvero così tanta importanza al nostro ego da desiderare di far sentire gli altri feriti più di quanto lo siamo stati noi? Che morale c’è in questo? Non dovremmo smetterla di ascoltare la voce della ragione e iniziare ad ascoltare quella del cuore? È una voce che parla la stessa lingua in tutti. Che tutti potremmo udire se solo iniziassimo a sintonizzarci con una Coscienza Superiore anziché col nostro piccolo sé. E poi pensiamo davvero che la vendetta sia la soluzione?




Abbiamo mai visto nella storia del mondo una violenza che ha messo fine al problema di una violenza? Forse la violenza non è la soluzione ai conflitti. Forse l’odio davvero genera solo odio. E come disse quel grande indiano di 2500 anni fa (Buddha) … “l’odio genera solo odio. L’odio si combatte con l’amore” l’amore per quel che ognuno di noi ha dentro. L’umanità! ... Ed è la vendetta un’espressione di civiltà? Tutta la nostra storia da Caino e Abele alla tragedia greca è il superamento della vendetta. La politica nasce dal superamento della vendetta. E come la rappresenta il teatro greco? Riesce a portare questo messaggio alla platea, al pubblico, rappresentando sulla scena, i sentimenti dei contendenti. Si vedono i 2 contendenti ognuno che porta in scena i suoi problemi e i suoi conflitti (Tiziano Terzani – Il kamikaze della pace)

Dovremmo abbandonare questo senso dell’ego. Questo senso di separazione dagli altri e dal mondo intorno a noi. Essere impersonali. Quando realizziamo noi stessi, quando ci immergiamo più profondamente nel nostro Sé immortale, il pensiero del nostro insignificante sé fisico tende a diventare piccolo perché iniziamo a vedere Dio ovunque. Negli altri così come in noi stessi. Vedere Dio in ognuno è il modo in cui possiamo amare tutti. Nell’accettare tutto ciò che riceviamo, sia esso il bene o il male (in ogni caso una manifestazione della Sua volontà), troviamo il modo più veloce di andare avanti. Nel rimanere impersonale dinanzi a tutto quanto ci accade, quasi come se non accadesse a noi, troviamo la via della crescita perché finalmente abbandoniamo il pensiero dell’ego e ci possiamo proclamare interiormente liberi.



Una volta è stato detto a Yogananda: “Quanto è umile, maestro”. Yogananda rispose: “Ma che sciocchezza, come ci può essere umiltà quando non c’è senso dell’ego?”

Amate i vostri nemici, benedite coloro che vi maledicono, fate del bene a coloro che vi odiano e pregate con quanti vi maltrattano e vi perseguitano perché se amate solo coloro che vi amano, che premio avrete? Non fanno altrettanto anche i pubblicani? E se salutate soltanto il vostri fratelli, che fate di straordinario? Non fanno altrettanto anche i pubblicani? Voi dunque siate perfetti come perfetto è il Padre Vostro che è nei cieli (Vangelo secondo Matteo Cap 5)

Ma come possiamo conciliare questo modo di essere col corrotto e indisciplinato mondo di oggi? È la sfida principale che bisogna vincere. Le riposte alla domanda ci giungono in diversi modi. Ci giungono attraverso sentieri differenti, persone differenti, riflessioni differenti. Quale poi, tra tutto il calderone di risposte che ci giungono, è quella corretta? In realtà non penso che esista l’assoluta risposta corretta per tutti, quanto più che altro quella giusta e differente per ognuno di noi. Dobbiamo cercarla dentro di noi. Dando voce al nostro cuore e rimanendo quindi in ascolto troviamo spesso le soluzioni a problemi e dubbi che ci sembrano irrisolvibili. E poi sperimentiamo, sperimentiamo. E ancora sperimentiamo.



Accettando che ciò che è giusto per uno può non esserlo per gli altri, risolviamo ancora un ulteriore problema. Ma questo è un altro post.

L’interesse generale dell’umanità, questo primo obiettivo di tutti i cuori virtuosi, richiede la libertà d’opinione, di coscienza, di culto: in primo luogo perché questo è il solo modo per stabilire tra gli uomini una vera fraternità; poiché, dato che è impossibile unirli nelle medesime opinioni religiose, bisogna insegnare loro a considerare, a trattare come propri fratelli quelli che hanno opinioni contrarie alle loro (Voltaire - Trattato sulla tolleranza)

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