sabato 16 ottobre 2010

Tu chiamale se vuoi...

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Raccontare storie di sé, storie belle o meno bello, storie d’amore o di paura, di dolore o di amicizia, è un modo per mantenerle vive ma allo stesso tempo per estirparle dal cuore e dargli forma e colore. Uno poi decide se metterle in bella vista sulla credenza o nasconderle in cantina oppure bruciarle nel camino. In questi giorni, navigando in rete, mi diletto a curiosare tra i blog e leggere un po’ di queste storie. Son partito da un blog satirico che leggo regolarmente e, spulciando nei commenti postati da altri blogger, son passato a leggere quello in cui scrivono di poesia, quello della studentessa col nickname che è il nome di un personaggio di un romanzo di cui mi sono innamorato (del romanzo e del personaggio), fino ad arrivare infine a quelli che parlano di storie d’amore e vita privata. 

Naturalmente mi incuriosiscono molto le storie d’amore e le storie in cui si mettono in primo piano i sentimenti.

Sorseggiando un Chai tea oggi ho pensato un po’ all’intento che avevo in mente quando ho dato inizio a questo spazio. Intendevo parlare di spiritualità, scrivere quei piccoli suggerimenti che nel corso di anni ho ascoltato e messo alla prova e fatto miei. Ma come è scritto nella barra qui a destra, alla voce “informazioni personali”, il mio cuore è fatto di mare. E non è che si può pensare di racchiudere il mare in una definizione fatta di una sola parola. Così ho finito, forse inconsciamente, col parlare anche di cose che amo. Di cose accadute attorno a me. Ho finito col parlare di sofferenza. La mia perlopiù. Ho finito col parlare di emozioni che ho provato.

Andrò avanti così, parlando di spiritualità, di letteratura, di emozioni.

Adoro emozionarmi. Emozionarmi inteso come provare emozioni. Nulla ha ché vedere col rossore che ci colora le guance. Così un accordo piacevole in musica o il raffinato modo di esprimere un concetto in un libro, un rosso sole dare inizio al giorno o alla notte, il profumo della pioggia o, ancora, riconoscere, passeggiando per le strade della città, il profumo della legna che arde nel camino di qualche casa vicino, suscitano in me sempre pensieri delicati e romantici ricordi.

E allora torna alla mente la mia infanzia. Torna alla mente il primo amore e le lacrime versate per il primo rifiuto. O quando, per la prima volta, in spiaggia, ho baciato una donna e riconosciuto sulle sue labbra il sapore del mare. Che dire dello stupore provato la sera in cui, dopo settimane passate a sognare quel momento, la donna che desideravo finalmente si è lasciata andare e mi ha baciato, e mentre le mie mani tracciavano la linea del collo verso il suo viso, ancora una volta, e questa volta per strada, di nuovo ho sentito sapore di mare? E il mare era distante chilometri. Ma era vicino anche. Oltre che in me, era in lei. Mare d’inverno. Alba sul mare. Profumo di mare e mare nel cuore: nel suo cuore. Nel mio cuore. Nei suoi occhi e in qualche modo anche nei miei. Il mare.

Oggi è successo ancora qualcosa di simile. Ho risentito per caso una canzone e mi è tornata, stampata ben chiara in mente, l’immagine di me che ne canticchiavo alcune strofe, sussurrandole alle orecchie del bambino che cullavo tenendolo tra le braccia. Mio nipote.

E sta succedendo ancora. Proprio qui, proprio ora, mentre scrivo, sento forte il profumo che ho sentito sul sari che Amma indossava martedì quando, tra le sue braccia, ho ricevuto il darshan della Madre Divina. 

Per i ricordi “olfattivi” in particolare ho una predilezione. 

Amo quando i ricordi mi si affacciano alla memoria. E ammetto che di tanto in tanto vado alla ricerca di quei momenti: che sia in modo tangibile e concreto o tramite un puro percorso di astrazione mentale, mi piace richiamare, attraverso questi stimoli sensoriali, quel che è stato. Frammenti di senso di un passato che sempre suscita emozioni.
È l’ incapacità di andare avanti, rimanendo attaccato a quel che è stato e utilizzando inoltre mezzi da feticista, direbbe forse uno psicologo?

Io penso che ci forma quel che viviamo. E di conseguenza siamo quel che abbiamo vissuto.

È un male quando i ricordi, persino quelli legati a periodi sofferti, si riaffacciano alla mente regalando sempre comunque un sorriso alle labbra?

È un male se attraverso il ricordo del profumo di un sari rivivo la benedizione delle vibrazioni sentite durante un abbraccio con una madre permeata d’amore? 
Se rivivo quell’intensa, eppur così benedetta, giornata di tapasia, in compagnia di due amiche e in attesa di essere risucchiato nella bolla d’energia di una donna molto elevata spiritualmente? 
Se in quell’abbraccio ho avuto persino un flash dell’affetto della mia madre terrena? 

(A proposito, quanto vale il potere di un abbraccio?) 

Io dico AUM AUM AUM, chiudo gli occhi, alzo lo sguardo all’occhio cristico e offro tutto in alto.

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E “in cuxx la psicologia” direbbe il personaggio di un altro libro che amo.........
 
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