lunedì 22 novembre 2010

Piccoli semi di coscienza

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Ho sempre mal sopportato i “predicatori”. In filosofia, in politica, in religione. Mi riferisco a quelle persone che sentono costantemente il bisogno di indirizzare gli altri verso quella che è, a loro parere, la strada migliore. E che lo fanno sentendosi migliori al punto da sminuire, attaccare, criticare sia “la strada” sia chi sceglie “la strada” “sbagliata”. La Destra è meritevole più della Sinistra. La Sinistra è illuminata più che la Destra. La filosofia Orientalista o quella Occidentalista. Gesù, Buddha, Maometto e poi Shiva, Krishna ecc.

E lo yoga? Tantra o Raja, Bhakti o Karma… 

Perché abbiamo sempre questo inutile e deleterio bisogno misurare e sostenere che la nostra tesi è migliore di quella degli altri? Cos’è tutto questo? Perché abbiamo costantemente la necessità di creare ed evidenziare questa dicotomia tra “il mio e il tuo”?

Questo è stupido, quello è assurdo…

Perché parliamo contro la fede degli altri? Contro la fede in un’immagine di pietra? Magari con 4 braccia o con la testa di elefante o magari inchiodata ad una croce? L’uomo che dice che una persona non ha mai bisogno di un guru o di un dharma, non sa che così facendo automaticamente diventa il guru delle persone che gli danno ascolto e che accettano la sua visione della vita? Non sa che così facendo influenza il pensiero altrui?

Perché abbiamo costantemente bisogno di parlare? 

Non che la via di queste persone sia sbagliata, tutt’altro, è essa pure certamente valida, ma perché non impariamo tutti ad accettare la validità di approcci differenti dai nostri?

Krishnamurti non permetteva che nessuno si prostrasse ai suoi piedi (segno di rispetto in India – Anandamayee Maa sottolineava che nell’atto di inchinarsi, particolarmente davanti ad una nota personalità spirituale, avveniva una profonda trasmissione di energia spirituale, qualcosa al di là della mente, che è l’antitesi di qualunque atto che abbassa o umilia) ma balzava egli stesso in piedi e si chinava a toccare i piedi di coloro i quali chiedevano una benedizione. 

Meraviglioso. 

Eppure Krishnamurti criticava la necessità di avere un guru e così facendo, nell’atto stesso di porsi come un’autorità spirituale pubblica, egli non poteva evitare la responsabilità di diventare un guru egli stesso, proprio ciò contro cui inveiva. In Krishnamurti c’era naturalmente una grande concentrazione e una certa pace e chiarezza della mente…ma ancora mente... 

È il cuore che dobbiamo imparare ad ascoltare. È lì che possiamo ricevere, come fosse un’antenna ricevente, la sintonia con ciò che è giusto e nobile. 

Qualunque cosa predomini la nostra vita e la nostra mente, prenderà in mano la situazione al momento della morte e tali pensieri determineranno la natura della nostra propria rinascita. Perciò bisogna costantemente rivolgere la mente a Dio, alla Madre. 
 
Riuscire a mantenere questa sintonia anche solo per poche ore mentre lavoriamo o svolgiamo le nostre attività quotidiane è come essere innamorati, ma dieci volte più bello.

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