giovedì 27 giugno 2019

Comunque, non ce n’è


Comunque, non ce n’è, rimetti tutto in discussione.
Pensavo di poter essere uno di quelli che “il mio bambino non condizionerà il mio modo di essere” ma è talmente intenso il senso di protezione e l’amore che scaturisce da ogni poro che non esiste proprio più nulla.
Forse riuscirò a non essere uno di quelli che non parla d’altro o forse no, non lo so, in ogni caso prima di muovere ogni passo, il pensiero se lo muovo nella direzione giusta per lui si affaccerà prepotentemente.
Spero di non rompere troppo ma del fuoco che brucia al pensiero di tornare a sera da lui non posso non raccontarti; della frustrazione del mattino, quando devo lasciarlo e del non potergli restare accanto ad ascoltare il suo respiro mentre dorme o mentre piange arrabbiato se il biberon ci mette un po’ troppo a scaldarsi.
Vedere C. soffrire, impotente, è stata l’esperienza più brutta della mia vita e veder poi il suo sorriso mentre le riponevano in grembo A., è stato invece l’apice dei miei tanti anni.
Poi siamo usciti e poi ce l’hanno portato via. Quando era in ospedale ci svegliavamo di soprassalto come allarmati da un suo segnale che non potevamo aver sentito. Sognavamo tutti e due di averlo vicino e lo cercavamo nel torpore del sonno appena concluso d’improvviso.
Non era passata neppure una settimana dal suo arrivo e già il cervello ragionava diversamente e in modo che non sapevamo spiegare.
Cosa ti insegna ad essere così vigile? A modificare il tuo modo di pensare e di dormire.

Giorni difficili quelli. Giorni disarmanti. Giorni di abbracci non dati, di manine sfiorate, di suoni allarmanti, di lacrime profonde, di paure talmente grandi da non poter essere espresse.
Giorni di forza però. E di coraggio. Giorni di speranza commovente per ogni piccolo progresso. Giorni consumati in attesa di quel primo nuovo abbraccio.
E poi la luce.
E poi finalmente noi, con l’inizio del nostri giorni insieme.

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